Happy holidays

barefoot beach blur break
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La scuola è finita.
Per una come me, abituata a sudarmi ogni singola verifica, ogni compito in classe, ogni interrogazione, questi due anni negli Stati Uniti sono stati una festa: mai un colloquio con gli insegnanti, mai una convocazione sul registro elettronico, una nota, un brutto voto di cui dover discutere a capo chino e occhi bassi. In Italia, ogni volta che Leo prendeva un’insufficienza, era come se l’avessi presa io e, ogni volta che andava alla grande, mi sentivo Maria Montessori.
“Leonardo non si impegna abbastanza”
“Lo so, ha ragione”
“Voi a casa lo seguite?”
“Sì, certo, sempre”
“Seguitelo di più”
“Lo faremo, grazie”.
Oppure…
“Leonardo è andato molto bene, lo state seguendo?”
“Sì, abbiamo fatto insieme 5.000 disequazioni”
“Bravi, continuate così”
“Certo, con piacere (tanto io lavoro solo 9 ore al giorno, sono felice di tornare a casa e mettermi sulle disequazioni mentre cucino)”.

Quante parolacce in meno ho dovuto dire quest’anno! Quante maledizioni mi sono risparmiata!
Qui io non mi sono accorta di niente. Eppure ho potuto conoscere i suoi voti in tempo reale, ho visto quanto poco studiasse, ho assistito ai suoi calcoli di sopravvivenza quando, dopo aver conquistato un voto massimo, non solo tirava i remi in barca, ma su quella barca si metteva proprio a ronfare.
Per farla breve, Leo quest’anno non ha studiato quasi per niente. Ed è comunque promossissimo.
Ah, direte voi, allora è vero che la scuola americana fa schifo e produce solo giovani ignoranti.
No, secondo me non è così, ma è una mia personalissima opinione.
Forse i ragazzi italiani sanno “più cose” degli americani. Memorizzano più fatti. Sanno fare equazioni più complesse. E non dico che questo non sia buono, io credo nella cultura e a quanto sia bello che i giovani se ne approprino.
Ma qui i ragazzi, in particolare durante il primo anno di High School, imparano soprattutto altro. Ad esempio, Leo si è scelto da solo le materie dell’anno prossimo. Ha preso appuntamento con il counselor, ha discusso con lui le sue opzioni e ha scelto. Si è sbrigato da solo la vergogna di aver fatto un esame di cinese pietoso, confidando alla sua insegnante di attraversare un periodo un po’ così e chiedendole cosa potrà fare quest’estate per colmare le voragini scavate negli ultimi mesi, trascorsi ad ascoltare Fabri Fibra ed Eminem. Ha chiesto lui alla sua insegnante di algebra di spiegargli degli argomenti, dopo che le lezioni erano finite, perché non li aveva capiti bene.
Tutto questo l’ha fatto da solo, senza coinvolgerci mai.

Insomma, quello che sembra a me, è che gli studenti americani a scuola imparino a diventare grandi, ad assumersi le loro responsabilità, a confrontarsi con gli adulti in prima persona, mettendoci la faccia. Da queste parti i ragazzi smettono di delegare mamma e papà e iniziano a muoversi e a parlare in prima persona, come degli adulti. Imparano a guardare negli occhi i loro professori, ad indirizzarsi a loro dicendo yes sir, yes ma’am, a stringere vigorosamente la mano, a vivere in prima linea la loro giovane esistenza.
Imparano che studiare è importante, ma che nessuno studio può sacrificare lo sport, gli hobby, la musica, l’arte. Nessuno studente americano studia e basta. Hanno tutti attività alternative a cui dedicano ore di allenamento, di prove. Perché attraverso quelle attività sviluppano il loro carattere e le loro inclinazioni, realizzano chi vogliono diventare, capiscono in che cosa sono davvero bravi, scoprono sfumature della loro personalità che sarebbero invisibili seduti su un banco.
Imparano anche che sopra ogni cosa ci sono l’onestà, la trasparenza, la  verità, perché l’integrità vale più di una sfilza di ottimi voti. Infatti, qui non si dice “non copiare”, bensì “don’t cheat”, cioè non tradire, non imbrogliare, non truffare. E’ un concetto molto più forte che da noi in Italia, dove comunque copiare non è visto come una cosa vergognosa, anzi…diciamoci la verità, in Italia chi frega il sistema ha sempre una marcia in più, già a partire dai banchi di scuola. Qui, invece, i ragazzi capiscono cosa sia la meritocrazia, cioè che se ti impegni, ottieni, in caso contrario no. Molto semplice, senza sfumature, senza distorsioni. Sono fondamenta importanti per chi cresce sapendo che anche nel mondo del lavoro, bene o male, ci sarà la stessa semplice regola. Possiamo forse dire la stessa cosa noi Italiani?

Anche io, come genitore, ho imparato qualcosa da questo sistema. Ho imparato che io non sono lui.
Che non posso sempre spianargli la strada, proteggerlo ad ogni passo, evitargli di cadere.
Che solo cadendo, da solo, potrà capire come alzarsi.
Che il regalo più grande che possa fargli è l’autonomia, non è amarlo più di quanto ami me stessa.
Che le sue conquiste e i suoi fallimenti, le sue gioie e le sue lacrime, non mi appartengono, se non in parte.
Ho capito che siamo due persone, ognuna con i suoi obiettivi, e che farmi carico dei suoi non rientra tra i miei compiti.

Quindi anche se non studiano Leopardi e non hanno ben chiaro in che anni si sia svolta la Rivoluzione Francese, gli studenti americani hanno comunque del potenziale in più. E, man mano che crescono, io credo che anche la didattica diventi più specifica e si arricchisca, ma solo dopo che la maturazione è completa, solo dopo che altri concetti, di vita, sono stati completamente assimilati.
Non solo. C’è un’altra cosa che gli studenti americani hanno in più.
Davanti a loro hanno una lunga estate.
Completamente.
Senza.
Compiti.

Happy holidays!

 

14 risposte a "Happy holidays"

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  1. Che bello è io ti ho scoperta perché erolucy ti ha condivisa! Che bel post. Quindi mi sa che devo essere felice se le cose in Germania sono così light? Vedremo l’ Anno prossimo interza come va! Anche qui non esisti compiti per le vacanze!

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  2. Ciao…ti ho appena scoperta!!! E che scoperta…come te ho preso il pennarello, tirato ‘sta linea e ho fatto un salto nel vuoto. Certo non così distante, ma ci sono pur sempre quasi 5 ora da casa mia. Dopo 5 anni non so dirti se la scelta è stata quella giusta, ma oramai il dato è tratto…anche se mio padre mi diceva sempre che ORMAI è una brutta parola…Grazie è stato bello conoscerti.-

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  3. Per lavoro leggo molti transcript di studenti texani e rimango sempre sorpresa da cosa studino sia alle superiori che al college e all’università. Proprio ora ho tra le mani il transcript di uno che sarebbe il mio omologo americano e le differenze sono notevoli. Per esempio, almeno tre esami universitari sono legati a educazione fisica (tra cui frisbee!) e tre a storia e leggi degli USA, pur essendo una facoltà scientifica al massimo! Ma come dici tu, formazione non è solo cultura e nozionismo: io NON ricordo con piacere i miei anni di scuola in Italia, dove mi sentivo sempre giudicata, misurata, inadeguata.

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  4. Complimenti bellissimo post, l’ho letto con interesse e concordo su tutto. La scuola della vita è sicuramente più importante di quella nozionistica, che non dico che non lo sia, assolutamente, ma crescere come persone sicuramente aiuta i nostri figli ad assimilare meglio anche il resto.

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  5. Ciao Antonella! Che piacere incontrarti e che bello leggere questo tuo scritto! Davvero molto interessante e rispecchia molto la situazione scolastica, e non solo, dei due paesi in questione! A presto, confido in una lunga amicizia.
    Francesca

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  6. Riflessione molto bella e decisamente condivisibile, nel suo concetto di fondo che l’apprendimento è prima di tutto gioia, infatti in latino STUDERE non vuol dire studiare, ma essere appassionato… A mio avviso, l’unico problema delle scuole statali americane è che sono legate al quartiere, così, chi vive nei bassifondi è costretto a frequentare scuole simili a riformatori, Questo aspetto della scuola legata al territorio andrebbe cambiato perché è tremendamente ingiusto… infatti qui in USA chi ha figli in età scolare compra la casa in base alle scuole del quartiere… in Italia se il figlio di uno spacciatore vuole fare il liceo classico in centro può… Qui in USA a volte si fa di tutto per tenere le classi sociali ben separate perché gli ultimi saranno gli ultimi se i primi sono irraggiungibili.

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