Ready? Go!

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Alla fine ho voluto provare anche io la pasta che cuoce nel microonde in 60 secondi. La prendi, la apri, la infili, accendi, spegni, mangi. Il tutto per un dollaro e sessantotto. Chissà cosa ne pensa Pietro Barilla, da lassù…
Ma andiamo per ordine.
Entro da H-E-B, vado nel reparto pasta con il preciso intento di tradire tutta la tradizione culinaria italiana (ma tanto, se l’ha fatto la Barilla, chi sono io per oppormi?), trovo la confezione e la metto nel carrello. Una signora accanto a me mi guarda, sgrana gli occhi felice e, con espressione pre-orgasmica mi dice “oh, delicious…”. Da queste parti, infatti, la spesa la si fa tutti insieme, ci si commenta i prodotti a vicenda, e siccome qui la vita è in rosa, è sempre tutto delizioso, buonissimo, gustoso, eccellente.
Anche in Italia, nel Carrefour sotto casa, mi capitava di commentare qualche prodotto con la ragazza che stava alla cassa. Più che altro erano consigli, ricette, a quanto far andare il forno, che spezie aggiungere. Qui sarebbe impossibile scambiarsi questo tipo di consigli: i forni delle case non vengono mai aperti, e credo che la ricetta più diffusa sia “metti nel microonde, ready, go!¨.

Riflettendoci su, credo proprio che a salvare gli americani dalla loro anoressia ai fornelli siano stati le mogli e i mariti stranieri: messicani, sudamericani, italiani, francesi e spagnoli che un bel giorno hanno deciso di infilarsi il grembiule e hanno insegnato a questi ingurgitatori casuali la bellezza di gustare qualcosa di buono, ricercato, fatto con cura. Per alternare il take away e il microonde con qualcosa che si faccia raccontare e ricordare. Poi il palato è il palato, e basta entrare in un ristorante italiano da queste parti per rendersene conto. I piatti sono buoni, per carità. Ma c’è sempre qualcosa dentro che non c’entra, che un po’ ti incasina il piatto, che in quel momento in cui lo assaggi pensi “io non ce l’avrei messo”. Invece, quella dissonanza lì che senti, è messa proprio apposta per gli americani e per il loro palato abituato al caos, per le loro papille gustative anestetizzate.

Ma torniamo alle nostre penne istantanee.
Le porto a casa e le maneggio come se nella busta ci fosse uranio impoverito. Scopro dalle istruzioni che si tratta di penne, punto e basta, senza condimento, senza sugo o formaggio. Semplicissime penne che, invece di essere buttate nell’acqua bollente e poi scolate, vengono messe nel microonde e sono pronte in un minuto. Dissento con la testa, manco fossi Bruno Barbieri, le apro e le metto al blocco di partenza. Durante i sessanta secondi di cottura, mi viene in mente che tutto questo viene fatto per evitare di prendere una pentola, far bollire l’acqua, buttare la pasta, attendere 9 minuti, scolare. Che per un’italiana vera, come me, non sono minuti persi, ma evidentemente per un americano sì, se si prende la briga di inventarsi il modo di tagliare questi 9 minuti di cottura in acqua bollente. Del resto, chi ha l’economia più forte, noi o loro? Chi ha il tasso di disoccupazione più basso, noi o loro? Quindi taccio e attendo il DING.

Quando tiro fuori dal microonde la busta e rovescio il contenuto in un piatto non posso fare a meno di osservare che si tratta del più perfetto piatto di pasta scotta che possa essere scolato da una pentola di acqua bollente dopo che si è superato il limite di cottura di qualche minuto. Con la particolarità che alcuni bocconi risultano sorprendentemente al dente, per non dire crudi. Nonostante l’aggiunta di un filio di olio extravergine il risultato è drammaticamente lo stesso.
Per fortuna ho un figliolo che, al rientro dai suoi allenamenti di football, non distinguerebbe un pezzo di pane da un cartone del latte, quindi so già chi si potrà gustare il mio esperimento senza fare una piega.

Superando il cliché che gli americani non capiscono la cucina e noi italiani invece sì, devo dire che parlando con molta gente proprio qui del Texas, è emerso che i nostri piatti sono davvero molto amati, soprattutto quando vengono gustati nella nostra terra, con le nostre materie prime, nelle nostre fantastiche location. Tutti i texani che conosco sono stati in Toscana, alle Cinque Terre, in Sicilia, in Sardegna, e tutti hanno amato i nostri vini, i nostri sughi, le nostre carni, i nostri dolci, ma soprattutto hanno amato il calore che la cucina italiana sa dare, anche al di fuori dei nostri piatti.
Quindi, anche se mangiano pasta che riesce ad essere scotta e cruda nello stesso piatto, il senso del buono ce l’hanno eccome, e la nostra cucina li fa impazzire.
Per par condicio devo ammettere che a me fa impazzire il loro brisket (punta di petto di manzo) affumicato, la loro carne al barbecue, i loro burger alti tre dita. E non c’è niente che mi metta più di buon umore di una serata tex-mex, dove carne, verdure, formaggi, salse infuocate e birre gelate possono aggiustare qualunque giornata andata storta.

Quindi, per continuare l’educazione alimentare di questo grande popolo, scriverò alla Barilla affinché ritiri dal mercato la pasta Ready – fully cooked. Non se la meritano, gli americani. Proprio no.

4 risposte a "Ready? Go!"

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  1. Mi è piaciuto tantissimo questo post. Anche io quando mangio italiano qui resto sempre delusa. Ma lo fanno apposta pure quelli che saprebbero cucinare come si fa in Italia. La dura legge del mercato: o ti localizzi, o chiudi. E non vale solo per noi: uno dei cibi più ricercati dagli stranieri è il sushi, che qui ha *SEMPRE* il philadephia. La spiegazione è che in Argentina tutto il Sushi è in realtà Nikkei, ossia sushi fusion (giappo-peruviano). Solo che in Perù non hanno l’ossessione per il formaggio che hanno qui. L’unico modo per mangiarsi un sushi senza philadelphia è mangiare il sushi vegano! Su un blog ho letto che c’è stato un impavido che cucinava il sushi senza formaggio, ma dopo qualche mese ha chiuso. Ahah!

    Se vuoi leggere come stiamo messi qui a cibo italiano, dai un’occhiata qui: https://versioneargentina.wordpress.com/2017/11/22/parla-come-mangi/

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