Inutile dirlo: quattro settimane sono volate. Sono riuscita a fare tutto quello che mi ero riproposta, tranne la visita al Cenacolo perché la lista d’attesa era fino a fine luglio, ma tutto il resto l’ho fatto, e l’ho fatto a modo mio, cioè con gioia.
Con i miei amici e le mie amiche ho trascorso le ore più belle, più intense, più vere, più vive, immersa nella totale semplicità del momento. Il contesto era quello che era, la periferia in decadenza di una Milano che, bellissima e beffarda, si sforza di stare al passo con l’Europa. Eppure nessun posto mi è mai stato vicino al cuore come la mia casa, le mie strade, i miei negozi, i miei bar. Quello che sento quando sono qui è l’affetto vero di chi mi conosce, di chi ha vissuto lo strappo della nostra scelta di andare via dall’Italia, di chi ha seguito con affetto l’entusiasmo iniziale, la solitudine che ne è seguita, i pentimenti, la tristezza e, oggi, la forza di andare avanti.
Ho capito che qualunque chiacchiera fatta qui in Italia, davanti a un cappuccino e a una brioche, ha una profondità che non ritroverò mai nelle conversazioni americane sui massimi sistemi. E non parlo, ovviamente, delle conversazioni con le persone vicine o con gli amici di sempre, parlo di quell’easy talking che è un po’ comune a tante società, compresa l’Italia, dove per riempire il silenzio ti metti a raccontare la qualunque. Ecco, anche quello che dovrebbe essere una conversazione di intrattenimento, qui in Italia diventa un viaggio dentro di sè, un’esplorazione nella psiche, un’analisi politica con dei risvolti personali. Qui la gente non ha paura di dirti che ha paura. Non ha paura di dirti chi vota. Non ha paura di mettere il suo cuore sul tavolo e fartelo vedere con tanto di schizzi e grumi di sangue. E devo aggiungere che gli Italiani di oggi non hanno paura nemmeno di dirti che hanno perso la speranza. Che non vedono più un futuro per i loro figli. Che la classe politica che ci governa fa schifo perchè facciamo schifo tutti noi, quindi non c’è più niente, ma proprio niente, da fare.
Tutto questo, paragonato all’entusiasmo americano, alla gioia di vivere, alla bellezza di cui negli USA ci circondiamo per sentirci più vicini al dio Visa e alla divina Mastercard, mi porta a riflettere. Forse è vero che siamo un Paese finito. Forse è vero, come dice il mio amico Luca, che l’Italia potrà solo diventare il parco divertimenti dell’Europa e del mondo, in cui la nostra storia, le nostre tradizioni, i nostri monumenti, diventeranno quello che oggi sono le piramidi per l’Egitto e il Partenone per la Grecia: ricordi del passato, simboli di una grandezza e di una potenza di cui, però, non ci sono più tracce nel presente. E forse è vero anche che i nostri giovani italiani, i nostri studenti di oggi, sanno che l’unica strada possibile sarà, un giorno, lasciare le famiglie, fare la valigia e andare all’estero alla ricerca di paesi che investano sul futuro, anziché ucciderlo.
Ma lasciatemi dire che io, contro ogni pronostico, ancora scommetterei sul nostro Paese.
Ad esempio, in questi giorni ho visto la mia spiaggia preferita, a Numana, essere spazzata via dalla furia di un tornado e, dopo 9 ore, tornare perfetta, con le file di lettini e di ombrelloni in ordine e i granelli di ghiaia pettinati, grazie all’intervento di squadre di volontari, animati di amore per la loro città.
In questi giorni ho assaggiato i nostri cibi, ho visitato ristoranti e case in cui cucinare non è solo un’attività obbligata per non morire di fame, ma un rituale di accoglienza, un tributo alla nostra terra e ai suoi prodotti, un modo tutto italiano di prendersi cura di chi si ama.
In questi giorni ho visitato musei gremiti di persone. Le ho viste accalcarsi di fronte alle opere più famose, ma anche a quelle meno conosciute, con autentica emozione. Ho letto nei loro occhi l’orgoglio di chi sa di poter ammirare certe tele ogni volta che vuole, per ravvivare una giornata noiosa o un pomeriggio di pioggia. Ho letto tutta la bellezza della nostra tradizione, della nostra storia, del passaggio di geni che, in passato, hanno reso il nostro Paese il più illuminato al mondo.
In questi giorni mi sono seduta nella mia piazza Petazzi, davanti alla Chiesa, e ho visto le famiglie che scelgono di passare il pomeriggio dopo il lavoro con i loro bambini, mangiando un gelato, rincorrendoli mentre sfrecciano in monopattino, facendo due tiri a pallone. Ci ho visto tutta la bellezza della nostra famiglia italiana che, sì, forse ci fa crescere troppo mammoni e dipedenti, ma che è anche in grado di lanciarci nel mondo colmi di amore e di gratitudine.
In questi giorni ho parlato dell’Italia con chi, a differenza di me, ha scelto di continuare a viverci e a crescerci i propri figli. Li ho visti lottare contro quella tendenza italiana a lasciar andare, a voltarsi dall’altra parte, ad alzare le spalle. Li ho visti orgogliosi di tutto il buono che c’è e dolorosamente curvi su tutto il resto, spietati e critici su tutto quello che può e deve essere cambiato. Li ho visti pronti a combattere, a non mollare, armati del loro solo amore per il nostro Paese.
In questi giorni ho visto la mia città, Milano, farsi bella nel suo respiro europeo, senza perdere la sua autenticità e la sua storia. L’ho vista lasciare senza fiato i turisti, e dare respiro e ristoro ai milanesi. L’ho vista autorevole e moderna nelle sue piazze, e struggente e segreta nelle sue viuzze. Ho sentito la sua anima, il suo cuore, e l’ho sentito battere ancora forte.
Insomma, io lo so bene che l’Italia è malata. Non sono accecata dalla nostalgia per il mio paese. Lo vedo bene che il posto che ho scelto per il futuro di Leo è un posto pieno di opportunità, di lavoro, di benessere. Dico solo che, a volte, in mezzo a tutta questa corsa all’oro, tra una ricerca dello stipendio perfetto, dell’auto perfetta, della casa perfetta, della piscina perfetta, anche loro (gli americani) si sono persi qualcosa. Dico solo che a un registratore di cassa che fa ding preferisco un cuore che batte. Che sarà anche bello diventare i super capi di un team e lasciare tutti attoniti durante una presentazione, ma che in ogni caso preferisco far ridere intorno a un tavolo con una barzelletta o l’imitazione (perfetta) di Berlusconi.
Dico solo che al benessere e alla ricchezza preferisco l’amicizia e l’amore.
Del resto, lo dicevano anche i Beatles…all you need is love.
Mi è molto piaciuto leggerti e spero continuerai a farci sapere di te.
I miei due figli vivono tutti e due molto lontano, una negli USA ed uno in Cile. Ora sono ambedue in Italia ma tra una settimana torneranno nelle rispettive città.
Ti garantisco che la lacerazione che stai provando oggi è la stessa che provo io ogni volta che partono. Sono fortunata in quanto vengono in Italia almeno tre volte l’anno e vado a trovarli anch’io una volta l’anno. Sono felice che abbiano la vita che hanno scelto.
Buon viaggio!
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Ciao Stefania, grazie per le tue belle parole. Anche noi cerchiamo di venire qui due volte all’anno, e ogni volta è sempre triste andare via. Forse perché sono solo 2 anni che abbiamo lasciato l’Italia, o forse semplicemente perché dopo i 40 anni le radici sono forti e si fanno sentire…Ad ogni modo grazie ancora, seguimi e ti racconterò di me e della mia avventura 😊
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Sarà un piacere seguirti e incoraggiarti.
Ci sono pro e contro a lasciare il proprio paese e la propria città. Io sono romana e adoro la mia città. Purtroppo è talmente trascurata, sporca e invivibile che a volte penso di andarmene. Non dai figli poiché voglio siano liberi da ogni condizionamento. Non so neppure io dove.
Poi l’amore immenso per questa mia città ha il sopravvento e per giustificare con me stessa cosa ci faccio qui, vado in centro e me la godo come fossi una turista.
Buona fortuna!
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Roma è una meraviglia, soprattutto se vista con l’occhio del turista…da cittadina immagino che sia diverso. Buona ricerca del tuo “posto al sole”, quindi…
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Ciao cara anto… Che bello leggere dell’Italia cose vere e sentite e vissute… Tanti troppi luoghi comuni si sentono ogni giorno sul nostro paese. Purtroppo alcuni sono veri… Condivido il tuo amore e capisco il senso di nostalgia che provi… A me basta andare in vacanza per avere voglia di tornare, per poi arrabbiarmi nella routine quotidiana… Per le tante troppe contraddizioni e inefficienze, ma forse sono parte di noi… Alla fine i geni sono tutti un pò matti e noi in Italia lo siamo entrambi… Un pò geniali e anche un pò matti. Quindi goditi il tuo sogno americano… Noi ti aspettiamo qui, quando e se vorrai tornare. Laura (di carpi…).
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Una delle cose di cui sono grata all’Italia è la sensibilità e il saperne parlare con gli altri. Soprattutto chi ha un’educazione anglosassone, non è abituato a condividere cosa pensa e cosa prova. Sono in confidenza (professionale, ovviamente) con una ragazza del Montana che vive in TX e ho scoperto che certe cose le pensano anche “loro” (gli americani) ma non le diranno mai, specie pubblicamente.
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È vero, hanno un alto senso del pudore, applicato soprattutto alle emozioni e all’introspezione. Sì, ma se dalla vita togli questo, cosa rimane? Io di parlare sempre del più e del meno mi sono rotta…
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Leggevo con le lacrime agli occhi e pensavo ma sta parlando di noi? Anche io la penso così. In tanti vogliamo fare qualcosa per l’Italia e lavoriamo senza lasciarci andare alla rassegnazione.
Ps. Tuo papà è sardo, anche io sono sarda, da quale paese è originario?
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Ciao! Grazie per le tue parole…mio papà è della provincia di Nuoro, un paese molto piccolo che si chiama Escalaplano. Manca da tanti anni nella sua terra e ne soffre tantissimo, ma ormai è piuttosto anziano e il viaggio gli pesa un po’…
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Ciao, Escalaplano è lontano dal mio paese, io vivo a pochi chilometri da Cagliari.
La lontananza dai luoghi vissuti da bambino non è facile da sopportare soprattutto quando non si ha la possibilità di viaggiare con facilità. Un caro saluto a tuo padre.
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Grazie ❤️
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