Goodbye

photography of person s left hand touching an airplane s window
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In un mondo in cui si cambia il lavoro come si cambiano le mutande, la parola d’ordine è una sola: mai affezionarsi. Inizio forse a capire perché gli americani mi sembrano sempre un po’ “impermeabili” e distaccati. Come puoi innamorarti delle persone che incontri, se poi un’offerta di lavoro allettante, una città con più stimoli e la sete di avventura te le portano via?
In pratica, sta accadendo che una famiglia conosciuta qui ad Austin tra un paio di mesi si trasferirà a Seattle. Loro sono una coppia dolcissima e hanno due bambine meravigliose, che nel mio cuore avevo già adottato e mi sentivo già la loro zia. Lo so, probabilmente ho qualche carenza, ma fatto sta che ci sono routine affettive che sviluppano nel mio cervello esplosioni di serotonina, dopamina ed endorfine. Ecco, queste bambine e i loro genitori facevano ormai parte di questa routine.
Bon. Se ne vanno, dicevo. Alla base di questa scelta c’è quello che qui negli USA è scontato e che da noi in Italia è da fantascienza, cioè un nuovo lavoro, con maggiori benefit, paga migliore, infinite opportunità di crescita. Tutto bene, no? Da madre, per Leo vorrei proprio questo, una società in cui puoi scegliere, in cui puoi cambiare, in cui diventi per forza di cose flessibile e avventuroso. E mi sta bene.
Ma ora entrano in gioco i miei limiti, quelli che vengono proprio dalla mia cultura, dal mio passato, da quella terra a forma di stivale che ha le montagne più belle, le colline più verdi, il mare più azzurro e la gente più cazzara del mondo. Insomma, io non mi sono evoluta per niente da quel giorno in cui ho scelto di fare ragioneria per seguire la mia amica Alessandra. Se avessi seguito la testa, avrei fatto il liceo classico, conoscerei il greco e il latino e avrei dei motivi reali per spacciarmi nel mondo come persona di cultura.
Ma niente, io seguo sempre il cuore.

Qui negli Stati Uniti affezionarsi è per i pazzi, i visionari, quelli che non imparano mai, quelli che ripetono gli stessi sbagli. Quindi, eccomi.
Da quando siamo qui ho dato il mio cuore a diverse persone che poi, come è normale che sia, hanno preso la loro strada fuori dal Texas: una simpatica famiglia siciliana è tornata in Italia, e ancora oggi quando passo davanti a casa loro faccio un sospirone pieno di nostalgia. Una cara amica, una persona fantastica con la quale avevo stretto una bella relazione, è partita per Singapore e ci sentiamo in quella finestra di un paio d’ore nella quale non stiamo dormendo. Tanti altri li vedrò andare via ancora. Ad ogni partenza ho sentito un pezzetto di me che partiva con loro, ho sentito il distacco come un piccolo morso, come quando mia mamma mi lasciava all’asilo a 3 anni.
Da queste parti, invece dire addio è una cosa molto frequente, non c’è da stupirsi. Le famiglie girano e girano e girano, alla ricerca del posto di lavoro più pagato o della città con la migliore qualità della vita. In Italia, al contrario, spesso nasciamo, viviamo e moriamo nella stessa città, quasi sempre nella stessa regione. I nostri figli, nati nella terra a forma di stivale,  hanno lo spirito di adattamento di un panda ingolfato di foglie di bambù, e solo fargli cambiare scuola equivale a delle ritorsioni pazzesche, minacce di crolli nel rendimento scolastico, sedute dallo psicoterapeuta alla ricerca di nuovi punti fermi.
Qui i ragazzini potrebbero tranquillamente trasferirsi dall’Alaska all’Alabama nel tempo necessario a sostiruire la “sk” con “bam”… Sono tutti dei piccoli marines, dei guerrieri, sono più tosti di Walker Texas Ranger e hanno più risorse di Mac Gyver. Quando guardo il mio giovane Leo, con la sua tendenza a sviluppare sempre nuove pippe mentali, penso che gli farebbe bene uno di quei riti di passaggio che sperimentano gli adolescenti nelle tribù della Papua Nuova Guinea per diventare uomini, quelle cose tipo una settimana da solo nella jungla armato solo di pietre e coperto solo da una pezzuola legata al corpo con una liana. Invece continuo a portargli pane e nutella in camera. Mannaggia a me, inutile mamma italica.

Qui, alla fine, ognuno va per conto suo. Ognuno conta su se stesso, perché se stesso è l’unica persona che, di sicuro, non se ne andrà. Le relazioni durature non esistono, perché appunto duraturi non sono nemmeno i progetti. Oggi sei qui, domani magari sei in Virginia, o in California, o in North Carolina. Inutile investire sentimentalmente, inutile fare un nido. E, se siete quel tipo di persone che sentono “l’odore di casa”, meglio se disfate le valigie, strappate il passaporto e restate dove siete, a collezionare foto in cui ci siete sempre voi, le vostre famiglie, i vostri amici, sempre le stesse facce, solo un po’ più cresciute, un po’ più vecchie.

Questo non è un paese per sentimentali, è un paese per gente con le idee chiare e le palle quadrate. E’ un posto per chi sa stare da solo, non per chi dipende dagli affetti e dalle relazioni. E va benissimo, io ho sempre stimato quelle persone indipendenti e libere, che viaggiano leggero, perché a volte tanto amore significa anche molta zavorra. E io mi accorgo che i momenti di felicità vera, quelli in cui c’è silenzio assoluto nella mia testa, il cuore batte regolare e il silenzio non mi opprime, sono i momenti in cui chi amo è sereno. A posto loro, felice io. Sbagliato, sbagliatissimo, lo so.
Quindi ben venga un po’ di sano egoismo, se porta a migliorare se stessi, a conoscersi a fondo, a prendere la propria strada con fiducia e speranza.
Alla fine Leo deciderà per sè, quando sarà il momento, dove continuare il suo cammino. Io sono contenta di averlo portato qui, a conoscere un mondo, anche interiore, diverso da quello che avrei potuto proporgli io. E anche se tutto qui mi sembra strano, a volte sconosciuto, spesso distante, sono felice anche per me. Perché non è mai troppo tardi per imparare, capire e, chissà, mettere in discussione i propri punti fermi.

Quindi, amici che andate a Seattle, buona fortuna, ve la meritate proprio. Sono felice per voi. Ma sicuramente, quando andrete via, piangerò un pochino.

7 risposte a "Goodbye"

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  1. Mia cara, dopo 25 anni la penso ancora come te. Ho detto troppi arrivederci e ci soffro ancora come se fossero successi ieri, mentre so che quando partiro` io ( perche` io me ne andro` da qui, promesso), i nostri amici ci faranno tante feste di arrivederci prima, ma ci elimineranno dai loro pensieri, come se fossimo forfora dalle spalle, il giorno dopo la nostra partenza. Sono fatti cosi`: mentalmente sono ancora come i loro antenati che partivano con la carovana, anche se ora ha le fattezze di un container

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  2. Ecco mi hai fatto scendere la lacrima❤❤❤❤❤😘😘😘😘….e sappi che ti leggo anche dall’outback australiano🤣🤣😎😎

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