Quello che cambia, quello che resta

macro shot photography of chameleon
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Parlando di americanizzarsi e di acquisire nuove abitudini, vorrei fermarmi un attimo a pensare se anche io, gnucca come come sono, ho abbandonato un po’ del mio vecchio stile di vita per abbracciare un po’ di american style. Devo dire che in certe cose mi sono istintivamente avvicinata al nuovo mondo, e ora con orgoglio sfoggio alcuni tratti distintivi dell’americano medio…

I vestiti

Non c’è da vantarsi di questo, ma ormai per la gran parte della giornata mi vesto all’americana. Soprattutto al mattino, quando porto Leo a scuola, il mio look è praticamente lo stesso che sfoggio durante la notte: pantaloni del pigiama a quadrettoni, t shirt, Ugg’s quando fa freddo, infradito quando fa caldo e mollettone nei capelli. Le altre mamme davanti alla scuola hanno il mio stesso allure, con tanto di sbadiglio in canna e il piede sull’acceleratore, pronte per tornare a casa per togliere almeno i pantaloni del pigiama (il mollettone può anche rimanere).
La cosa bella di qui, infatti, è che a nessuno gliene importa niente di come sei vestito. Noi italiani siamo super attenti al dettaglio, all’accessorio, alla scarpa, alla cintura, alla rava e alla fava. Qui, invece, l’importante è come sei dentro. Certo, se ti vesti un po’ ricercato lo notano anche loro. E se sei italiano, per diritto divino ti fanno i complimenti per il look, non importa se hai su la roba del mercato comprata nel 2002, sei sempre più figo ed elegante di loro…

La gentilezza

Io ormai saluto tutti e ovunque. Scambio frasi di circostanza con chiunque, rido e scherzo, auguro una buona giornata anche ai cani. Adoro la gentilezza americana e ormai ne sono dipendente. Quando torno in Italia, mi offendo se l’autista dello shuttle Malpensa non mi saluta, se il cassiere non mi chiede come sta andando la mia giornata e perfino se il passante di turno non mi fa un complimento per la mia borsa o per le mie scarpe. Ho scoperto che essere gentili migliora la qualità della vita di chiunque.  Non è sempre stato così perché mi sembravano tutti ipocriti. Invece ho realizzato col tempo che un sorriso, o un buongiorno, o anche l’interazione di qualche secondo, hanno davvero un effetto positivo sull’umore e sull’approccio alla vita. Ora lo faccio anche io, cerco di diffondere polvere di buonumore alla Pollon e restituisco tutta la gentilezza che ricevo. Il problema è che lo faccio anche quando torno in Italia, ma lì ancora non sono pronti: mi guardano con sospetto, si stringono al corpo la borsa, si guardano intorno per vedere se qualcuno è nelle vicinanze per intervenire in caso li aggredisca. Insomma, è un mondo difficile.

Al volante

Bellissimo. In Italia guidavo semplicemente molto male, qui posso dire che guido all’americana. Sono distratta, cambio corsia senza mettere la freccia, corro veloce senza motivo e rallento senza ragione, mi addormento al rosso del semaforo e attraverso la striscia continua con sprezzo del pericolo. Insomma, sono un pericolo pubblico, ma sono in buona compagnia. Qui siamo un po’ tutti così leggeri, all’acqua di rose, ma siccome lo sappiamo bene, siamo anche estremamente gentili e comprensivi con chi fa le nostre stesse minchiate. Quindi siamo i maestri del “prima tu, prego”, non suoniamo il clacson neanche di fronte a quello che viene in contromano, se vediamo un pedone a dieci metri dalle strisce pedonali inchiodiamo senza pietà e salutiamo il pedone, che a sua volta si affretta per non farci perdere troppo tempo e continua a ringraziarci attraversando la strada. Tutti in Texas hanno macchine piuttosto grosse e impegnative, e ovviamente hanno altrettanto grossi e impegnativi problemi a guidarle. Io non faccio eccezione, con la mia Jeep Compass. Abituata com’ero alla Citroen C3 a forma di coccinella, qui mi sembra di guidare un rinoceronte. Ma non è colpa della Jeep. Come ho detto, a guidare ero terribile anche a Milano.
Una brutta abitudine che ho acquisito qui è quella di tenere il motore acceso anche nei parcheggi, anche un quarto d’ora, specialmente quando fuori fa troppo freddo oppure troppo caldo, il che in Texas succede undici mesi all’anno. All’inizio ero sdegnata nel vedere le file di auto davanti alla scuola di Leo, con tutte le mamme rinchiuse nelle auto e i tubi di scappamento fumanti. Ho provato a diffondere buone prassi di sostenibilità ambientale spengnendo la mia, uscendo e aspettando con aria di sfida appoggiata al cofano, ma dopo novanta secondi di caldo texano (o altrettanti di freddo texano) mi sono arresa. Ora anche io inquino, all’americana, con l’assurda illusione che i cambiamenti climatici siano un falso mito.

Le quantità

Everything is bigger in Texas. Quindi mi sono adeguata e compro anche io pacchetti di patatine grandi come cuscini di un letto king (non esagero), confezioni di brodo granulare per fare minestrine fino al 2030 e costine di maiale fatto accoppiare con un brontosauro direttamente nel Jurassic Park.
Insomma, ora capisco perché gli americani hanno stanze che diventano veri e propri magazzini pieni di provviste alimentari. Tutto è così enorme, che non può essere stipato nei comuni mobili della cucina.
Mi piacerebbe tanto vedere un texano seduto da Cracco, davanti a uno di quei bei piattoni larghi e bianchi e al centro una tartare di tonno grande come un gettone, una micro foglia di basilico e la solita lacrima di salsa di lato, spalmata che neanche Monet ne sarebbe capace. Quasi riesco a sentire il rumore delle posate che cadono per terra, la tartare lanciata in aria come un piattello e il colpo di fucile che manda il tutto in mille coriandoli.
No, qui in Texas con le quantità non si scherza, nessuno vuole assaggiare e tutti vogliono abbuffarsi seriamente. Quindi, io mi trovo benissimo davanti alle bistecche alte e succose, agli hamburger larghi come la mia faccia, ai taco che sembrano le vele di una barca e ai nachos infiniti, filanti, piccanti, quel tipo di antipasto che da solo varrebbe una cena, e invece no, è un antipasto. Dio benedica il Texas.

Il curriculum

In Italia, l’unica volta che ho scritto il mio curriculum è stato nel 1993, appena diplomata e, una volta trovato lavoro, non l’ho più toccato. Qui, invece, lo aggiorno ogni settimana, lo miglioro, cambio il formato, lo rendo accattivante. Perché qui la ricerca di un lavoro è una cosa serissima, anche se il lavoro ce l’hai già. Gli americani preferiscono cazzeggiare su Linkedin che su Facebook e piuttosto che alle amicizie sono interessati alle connessioni, ai legami con potenziali recruiter, cacciatori di teste, gente in alto che può trovare interessanti le informazioni sul tuo profilo.
Non c’è mai pace, e anche io mi sto adeguando. Pur avendo un lavoro, ne cerco subito uno nuovo, pagato meglio, o con più benefit, o con un orario più flessibile. Verrò fagocitata del tutto in questa mentalità, o resterò sempre e comunque quella del “posto fisso”, quella che ha ancora il suo piano di riserva e che sogna, un giorno, di tornare al suo vecchio lavoro? C’è da dire che regina della macchinetta del caffè lo ero in Italia e lo sono anche qui. Con l’aggiunta che, con il mio accento italiano, forse faccio più ridere qui.

In pratica, mi rendo conto con una certa soddisfazione di assorbire piccole nuove abitudini e nuovi stili di vita. Ma con altrettanta soddisfazione  mi accorgo di mantenere anche le mie radici.
Ad esempio non darò mai un appuntamento a una persona “tra un mese”, come fanno qui, perché se ho voglia di vedere qualcuno non ho bisogno di programmarmi l’incontro così lontano nel tempo, lo vedo e basta.
Non lascerò mai tutte le luci di casa accese, le pale che girano alla velocità del motore di un Boeing e l’aria condizionata a quindici gradi. E continuerò a chiudere il rubinetto dell’acqua mentre mi lavo i denti, perché l’acqua non si spreca, e nonostante qui sia pieno di deserti, la gente sembra non ricordarselo…
Non importa quanti soldi entrano in casa a fine mese, comprerò sempre e solo il necessario, più qualche piccolo sfizio, senza tuffarmi a pesce nelle spese folli e nel superfluo, perché non mi va di sfidare la sorte e so bene che da queste parti la fortuna gira più velocemente che in altri posti del mondo.
Non canterò mai le lodi del sistema sanitario americano, come alcuni miei amici fanno. Continuerò, invece a credere che non c’è qualità o eccellenza che tenga, se la salute non è un bene di tutti, non c’è civiltà. Meglio i nostri vecchi ospedali e le nostre liste d’attesa. Meglio la sanità pubblica. Punto.

Insomma, trasferirsi e viaggiare è anche e soprattutto crescere, scoprire nuovi sè. Mi sento fortunata a fare questa esperienza e capisco che per Leo, in una fase di crescita così delicata, vivere con il cuore e la mente divisi su due mondi è ancora più importante. Mi rendo conto ogni giorno del regalo che gli abbiamo fatto, e anche se oggi non capisce una cippa di niente e pensa solo a quell’unica cosa alla quale penserà per i prossimi quarant’anni, mi auguro proprio che un giorno arriverà a capire anche quanto è fortunato. In lui, soprattutto, io vedo tanta America e tanta Italia, e finché riuscirà a mantenere vive entrambe queste identità sarà incredibilmente ricco. Per ora, appunto, spinge l’acceleratore sull’italianità soprattutto per rimorchiare. Ma tant’è. Lasciamolo divertire, finché dura.

 

2 risposte a "Quello che cambia, quello che resta"

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  1. Ciao,
    Alcune impressioni di un italiano mai stato in America, ma si informa da varie fonti

    Vestirsi
    E’ una buona cosa che nessuno badi a come ti vesti, ma dubito fortemente che a loro importi come sei dentro, mica sono italoamericani 🙂

    Gentilezza
    Io sono orso di mio e troverei difficile iniziare un discorso sul come va con estranei, direi che va tutto bene e troncherei lì…
    Se essere gentili con tutti rassicura e rende la giornata migliore, va bene
    Ma avrei la paura di farmi assorbire da un sistema che su certe cose non mi piace

    Al volante
    Questo mi ha un pò stupito: ho sempre pensato agli USA come ad un paese dove certe regole si fanno rispettare e quelle stradali erano tra queste
    Ma se esistono differenze tra Milano e Napoli per come si guida, ci saranno pure in una nazione 50 volte più grande
    Io, da pedone romano che non usa la macchina e si prende accidenti dai suoi stessi concittadini, trovo la realtà texana del tutto normale

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    1. Ciao,
      l’impressione che ho io è che a loro interessi quello che sei, e non l’apparenza. Ovviamente non in un senso “ampio” (sono americani, la superficialità è un po’ il loro tratto, alla fine), ma più in senso utile…

      Sulla gentilezza, è vero: per chi è orso, tutta questa invasione, ancorché gentile, può disturbare…

      Al volante le regole le rispettano. Solo che sono distratti e fanno erroracci, in buona fede 🙂

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