Io me ne andrei

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Lo so, manco da tanto. Manco anche a me, credetemi. Mi manco ma, quando mi ritrovo, mi sto sulle palle infinitamente. Ho aperto questa pagina decine di volte, cercando le parole giuste, quelle che a me di solito non mancano mai, né sulla carta, né a voce, ma non usciva mai niente di bello, nessun pensiero felice. Sono stati mesi tosti, in effetti. Butto lì dei dettagli, per dare un’idea:
– uno scatolone con dentro quattro cose dell’ufficio
– un gelido comunicato dall’HR “you are laid off”
– un’assicurazione medica d’oro persa nel giro di due settimane
– una pandemia che ha reso tutto difficile, soprattutto trovare un nuovo lavoro.

Il sogno americano ci ha portato qui, ci ha fatto vedere quanto è forte l’economia, quant’è bella la libertà, quanto vale l’uguaglianza… E nel giro di pochi mesi ci ha insegnato che si può arrivare a 40 milioni di disoccupati in uno schiocco di dita, che la gente si sente talmente libera da non riuscire a tollerare nemmeno una mascherina di stoffa sulla bocca e che ancora bisogna ammazzarsi e litigare per difendere i diritti dei neri.

Ecco che mi sento un’ingrata, per queste parole. Perché non è proprio tutto così crudele. Di lavoro, infatti, anche se dopo una lunga attesa, ce n’è stato un altro. Migliore. Inimmaginabile a casa mia. E la disoccupazione? Diciamo che sono piovuti un po’ di soldi dal governo per aiutare chi era rimasto a piedi. Ma resta un fatto. La pandemia ha tirato fuori tutte le debolezze di questo grande Paese. Mentre la curva del COVID procedeva con un ritmo tutto suo, diverso da stato a stato, mentre i negazionisti continuavano a sbandierare che il COVID è solo un raffreddore e che c’è qualcuno che vuole fotterci alla grande, la gente si arrabbiava sempre più. E si arrabbiava perché se da queste parti non lavori, come si dice…son cazzi, e posso dire di averlo in parte vissuto sulla mia pelle. Che quando sei in cucina a tagliare le zucchine, un po’ sudi freddo al pensiero che, se dovessi tagliarti un dito, forse è meglio prendere ago e filo piuttosto che andare all’Emergency Room senza la giusta assicurazione medica, persa con il lavoro perso.

Insomma, questo non è un paese per deboli di cuore. Anzi, questo non è un paese per deboli. Qui si lotta per l’eccellenza già da piccoli, e i primi test te li fanno a 5 anni, per capire se e quanto sai leggere, se e quanto sai far di conto. E quando vedo la mia piccola amica Carlotta, con i suoi boccoli castani e i suoi occhi curiosi, mi sale un groppo di tristezza per i suoi 5 anni appesantiti da una società che già dall’asilo ti spinge ad entrare in un gruppo, possibilmente il gruppo migliore, dove si legge più in fretta e si sa contare meglio. E penso ai 5 anni fatti in Italia, al mio Leo con la maestra Gigliola, le canzoni, i pennelli, le aule piccole, ma calde, i giocattoli rotti, ma bellissimi.

Come ha detto qualcuno, non importa se tu sia leone o gazzella, qui quando ti svegli sai già che devi correre, possibilmente più veloce di quello che ti sta accanto. Perché la tua vita sarà tutta una gara per entrare in quell’elite che ti permetterà, un giorno, di non dover arrancare dietro uno stipendio mediocre, un’assicurazione da ago e filo, un quartiere con scuole scadenti. E per carità, in parte va bene: se non ci fosse un po’ di competizione tutti ci appiattiremmo, non lotteremmo, non esprimeremmo mai quello che abbiamo dentro e non faremmo della nostra vita un’opera d’arte, come invece tutti dovremmo fare. Ma che dire di chi, invece, si accontenta? E che non vede la felicità nella scrivania in radica, nella poltrona in pelle umana e nelle piante di ficus, bensì nelle relazioni umane, ad esempio? Che dire di chi sta benissimo anche senza correre?

Io in Italia ne ho conosciuti tanti, di camminatori. Io, ad esempio, sono sempre stata una camminatrice. Io sono una che si accontenta, da sempre. Ho voluto laurearmi per amore dei libri e della cultura, non della carriera. Ho sempre fatto lavori che ho amato, ma pagati sempre molto poco. E con quel poco sono riuscita a comprare una casa, a non farmi mancare mai una bella vacanza, le uscite con gli amici, dei bei vestiti, spesso e volentieri in saldo. L’Italia ha posto per i camminatori, perché l’Italia non lascia indietro chi non sa o non vuole correre. In Italia, un camminatore sopravvive dignitosamente.  E qui? A me viene il dubbio che per i camminatori qui le cose siano molto più complicate.

Uno dei miei colleghi di lavoro ha appena comprato casa facendo il mutuo. E si prenderà in casa un “roommate” per poter pagare i conti a fine mese. E non è mica l’unico! Lo so, l’obiezione che mi si pùo fare è fin troppo ovvia: i nostri ragazzi in Italia stanno a casa con i genitori fino a 35 anni perché non riescono a pagarselo, un mutuo. Vero! Ma almeno non vivono con degli estranei perché con lo stipendio di medio-basso livello devono pagare costose assicurazioni mediche e tutto quello che lo Zio Sam ritiene imprescindibile nelle loro vite.

No, io non riesco più a guardarmi intorno con gli occhi a forma di cuore (anzi, a stelle e strisce) come quando sono atterrata in questo Paese. C’è qualcosa che non mi convince. Io cammino, e cammino piano, quindi ho più tempo per guardarmi intorno. E tutta questa gente che corre per non restare indietro non mi convince. Non credo ai loro sorrisi, non credo a quella felicità esibita, non credo alle staccionate bianche, ai prati tagliati con cura. Qualcuno mi dirà, alzando le spalle, che non mi piace stare qui perché mi manca la mentalità giusta, perché non sono una vincente, perché questo posto non fa per me. Qualcuno mi dirà che i miei sono i discorsi di chi non ha le palle. Che se avessi gambe veloci e fiato da vendere starei correndo, anziché lamentarmi che c’è tanta gente che non vuole, o non può correre, e che questa società dovrebbe trovare uno spazio dignitoso anche per loro. E sapete cosa risponderò a quelle persone? Che hanno ragione e che io, quasi quasi, me ne andrei…

26 risposte a "Io me ne andrei"

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  1. Ti ho pensato in questi giorni e mi fa piacere leggere che voi stiate bene (sempre che non vi tagliate un dito in cucina). Io che sto in un paese che è agli antipodi in quanto a spirito capitalista e lavorativo, sono arrivata alla stessa conclusione tua, anche se per motivi diversi. Anche il mio paese ha mostrato tutte le sue debolezze: devo trovare il tempo per parlarne sul mio blog.
    Gli Stati Uniti sono un grande paese quando tutto va bene, ma con la stessa velocità con cui ti sollevano, ti schiacciano. Quando ero lì avevo sempre un’ansia e una sensazione di sentirmi un pesce fuor d’acqua. Più ci andavo, meno ne ero innamorata. Confesso che ho sempre una cotta gli USA, ma ora la coltivo da lontano. A volte mi mancano e non so neanche spiegare perché: l’ultima volta che ci sono venuta non vedevo l’ora di tornare in un posto umano. È un po’ come andare a Gardaland: bello eh, ma tutti i giorni no grazie.
    Mio marito dice sempre che non ci vuole tornare e lo chiama “quel paese dove la prima domanda che ti fanno è “che lavoro fai?”. Hai pensato al Canada? Io sì. 🇨🇦

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    1. Ciao. Condivido le tue sensazioni. Noi abbiamo passato il primo capitolo della nostra vita americana nel modo “che funziona”, cioè con un buon lavoro e una buona assicurazione medica. Ma gli ultimi otto mesi sono stati durissimi, anche per nostro figlio, che nella sua cornice dorata si è ritrovato un papà disoccupato, niente auto da comprare una volta fatta la patente, niente frizzi e lazzi come i suoi coetanei. Insomma, è tosta da queste parti, se non hai il tuo posto al sole. Grazie per avermi pensata, fa piacere saperlo 😊

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      1. Però ricorda che le Americhe hanno anche un tempo di reazione molto più repentino che in Europa. Quando verrà la ripresa, in America la sentiremo molto rapidamente, così come più rapidamente abbiamo accusato il colpo.

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  2. Mi dispiace che covid ti ha spento il fuoco dentro e in parte il sogno americano. Non credo che esista un posto nel mondo dove le persone sono rimaste inferite. Io qui in Italia per dire aspetto ancora la cassa integrazione da marzo! È un gran casino e speriamo di uscirne fuori presto!

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    1. È vero, hai ragione. Questa situazione ha abbattuto tutti e ovunque. Ma qui ha messo in evidenza debolezze che c’erano PRIMA del Covid. Almeno da noi la polizia non ammazza gli afroamericani per le strade e, se ti ammali, ti cura con risorse pubbliche. Non è poco.

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  3. Io credo che i limiti di quel paese si evidenziano proprio quando “tutto va bene”.
    L’economia del paese, prima del covid, era al suo massimo. Quanti cittadini in questo fiorente periodo arrancavano per far fronte ai propri bisogni PRIMARI come cibo, casa, salute, istruzione?
    Da questo punto di vista il “sogno americano” sembrerebbe sincero. Ti fai il culo, sgomiti, e forse (forse!! se non sei afroamericano e/o poco istruito, se non avrai speso il tuo tempo per sbarcare il lunario, se non ti sei ammalato o non affoghi nel mutuo per la casa o per gli studi…), avrai successo. Ma la maggior parte vivrà arrancando e per molti il successo rimane più una forma di illusione, illusorio raggiungerlo illusorio averlo raggiunto.
    Comunque a questi americani piace (anzi statunitensi. Sì perché anche Lisa che ti legge è Americana benché viva in Argentina) e se piace a loro…. noi continuiamo a farci piacere il modello “socialize” delle nostre società europee.
    Quello che ci interessa e non ci piace e soprattutto non vogliamo del modello americano è il continuo saccheggio e spreco delle risorse, non hanno capito che sulla terra non ci vivono solo loro ma altri 7,5 miliardi di persone non statunitensi. Inoltre non ci piace la loro presunzione, ” the american way of life” (per dirla alla Trump) debba essere non solo accettata ma condivisa da tutti.
    Vieni via dal quel postaccio, ti aspettiamo a casa dove la vita è decisamente più confortevole.

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  4. Quando le cose vanno bene , buon lavoro, salute, si sta bene ovunque secondo me.
    Noi abbiamo perso il lavoro. Non ce la siamo sentita di portare avanti un’attività all’interno di un centro commerciale con le prospettive che venivano avanti. Gli aiuti del governo sono stati ridicoli. A settembre le tasse sono arrivate puntuali e noi non lavoravamo da Marzo. Assurdo.
    Comunque 1600 € di stipendio ….mio figlio se li sogna, forse fra 10 anni.

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    1. Ciao. Mi dispiace per il lavoro. Anche noi lo abbiamo perso, e con quello anche l’assicurazione medica. In Italia, almeno, se ti ammali ti curano gratis. Non è una consolazione, ma quando si dice che la salute viene prima di tutto non si dice una cavolata… In bocca al lupo per tutto.

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      1. Non sempre ti curano gratis. Mia suocera si è dovuta operare alla cataratta privatamente perché altrimenti col ssn doveva aspettare 1 anno e mezzo. Impossibile se devi guidare e lavorare. Succedono tutti i giorni queste cose.

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  5. Ciao !!! Io sono annia , e con la mia familia siamo in houston dal 2015,voglio dirti che sono d’accordo con tutto quello che hai detto, mi rispecchio nelle tue parole, vorrei un giorno racontarte la nostra historia , sapere che ce qualquno che capisce anche te, tira su il morale..ti auguro che tutto vada per il meglio ..

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  6. Belle parole.
    Condivido pienamente quanto scritto e, dopo 23 anni negli USA, devo ammettere che: IO ME NE ANDREI o meglio me ne tornerei in Italia

    SOLO CHE ho 70 anni e sono “Stanco”

    Negli Stati Uniti le cose stanno andando di male in peggio e la totale mancanza di una cultura “sociale” sta diventando intollerabile ed in questo momento di crisi e’ sempre più evidente

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    1. Ciao Massimo. Grazie per le tue, di parole. Hai detto tutto: la mancanza di una cultura “sociale”, ecco il problema. 70 anni…l’età perfetta per godersi la pensione tra le colline Toscane o sulla Riviera Romagnola 😉

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  7. Antonella, hai scritto sempre benissimo, ma questa penso sia la migliore delle tue riflessioni. Condivido non ogni sillaba, ma ogni lettera di quello che hai comunicato, benissimo. Io sono qui da molti piu’ anni, quasi 22, e mai mi sarei immaginato una cosa del genere. Ci e’ voluta una pandemia per fare emergere l’egoismo assoluto, cristallino, di questa popolazione. Non parlo di tutti ovviamente. E’ facile fare gli splendidi quando tutto va bene. Ma e’ nei momenti decisivi, quelli di difficolta’, che devi dimostrare di chi sei davvero. Ne ho vista tanta di gente che va in chiesa in prima fila a battersi il petto, che si vanta di donazioni generose, e che poi davanti ad un gesto altruistico come una semplicissima mascherina, ha cominciato ad andare fuori di testa citando i diritti sanciti dalla costrituzione. E’ meglio camminare circondato da gente che puo’ condividere le tue emozioni, piuttosto che correre con un orda di ossessi che in realta’ non sanno neanche perche’ stiano correndo. La pandemia prima o poi passera’, ma la loro vera natura, che e’ venuta fuori tutta in questo periodo, non potra’ piu’ nascondersi dietro ai sorrisi robotici da cui siamo circondati. Credo proprio che oltre a te, se ne andrebbero in tanti. Chissa’ che la novita’ del post-pandemia non sia una contro-emigrazione dettata dal ritorno a quella camminata che qui in USA non capirebbero neanche se gliela spiegasse Piero Angela…..

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    1. Tutto questo mentre in Italia la gente ha passato mesi letteralmente chiusa in casa, facendo la spesa seguendo le regole, non potendo nemmeno portare il cane al parco, non potendo far visita nemmeno ai genitori… Concordo, Paolo: meglio camminare. Se solo in Italia ci fosse più lavoro per i nostri figli…

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  8. Ciao,
    Sono inciampata per caso nel tuo blog perché un’amica ha condiviso uno dei tuoi post e io credevo che fosse una nuova cover della canzone di Claudio Baglioni. Che cervello!
    Abito un po’ più su di te da 30 anni. Condivido i tuoi pensieri sullo stato attuale delle cose da questa parte dell’oceano.

    In trent’anni ho potuto sperimentare sulla mia stessa pelle i “true colors” di questa cultura. Anche se tutto quello che sta accadendo adesso non mi sorprende, ferisce lo stesso nel profondo. Se mai oltrepassassi il Red River vienimi a trovare.

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      1. Sono una frana con la tecnologia. Avevo un blog su blogger, volevo cambiare piattaforma ma non ci sono ancora riuscita. Appena trasferisco su WordPress metto su qualcosa.

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  9. Mi fa impressione leggere esattamente le stesse riflessioni che ho scritto e pensato per mesi. Mi sono trasferita a Chicago con mio marito e fine Gennaio, poco prima che iniziasse il delirio. Non ho mai creduto nel sogno americano, e non ho mai amato l’America pur avendoci vissuto per un po’ anche prima. Però almeno speravo di trovare un lavoro, e tra me e mio marito speravamo che almeno uno avesse una assicurazione sanitaria decente. E invece la sua fa schifo, per cui non possiamo permetterci niente, e io non trovo niente, nonostante un dottorato, 3 stage, 3 lingue. Chiaramente la situazione economica e lavorativa è ovunque così, ma hai proprio ragione – vedere in modo così lampante che se cammini vieni lasciato indietro, che se perdi il lavoro rischi di andare in bancarotta per un taglio… Sono le cose più lampanti che io ho sempre criticato all’America. E vivere qui proprio adesso mi fa capire ogni giorno di più cos’è una società umana, cosa vuol dire mettere (o non farlo) la persona al centro, e non il Progress for the sake of progress… Sono tempi duri, davvero. Mi ha fatto impressione ritrovarmi così tanto nella tua situazione nelle tue parole.

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    1. Ciao. La cosa strana è che tutti quelli che sono venuti a vivere qui, o cantano le lodi di questo Paese, oppure usano le mie e le tue parole per descriverlo…Insomma, gli USA o li ami o li odi. Ti auguro di trovare presto un lavoro e, una volta trovato, di non esserne mai schiava. Grazie per avermi scritto i tuoi pensieri…

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  10. Ciao, ho trovato il tuo blog oggi, il 5 di Luglio 2021, il mattino dopo la sbornia patrottica dell’ Independence Day … “Ci risvegliammo più vecchi e stanchi, amaro in bocca, cerchio alla testa..”
    Io, ad Austin ci vivo dal 1991, praticamente una vita, e no, non mi ci sono abituato. Non e’ “casa” . Ma sarebbe un discorso defnitivamente troppo lungo per ora.. Nel frattempo mando un saluto e spero che le cose vadano meglio.

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