
Siamo tornati alla vita di prima. Alle buste paga fatte da Zucchetti, al modello 730, a quella cifra vergognosamente alta nella colonna dell’IRPEF. Siamo tornati alla polizia locale e alle multe per lavaggio strade, agli schiamazzi dei bar che violano l’orario di chiusura e ai furbi che fanno sempre quello che vogliono. Siamo tornati anche ai ristoranti e alle trattorie, alla cucina buona, curata, bilanciata. Siamo tornati ai tramonti sui tetti e i campanili, ai marciapiedi dove la gente cammina, alle vetrine con i bei vestiti, le scarpe di pelle, le borse, gli accessori, le pashmina di seta, le camice coi bottoni. Tornare nel loop della mia vita italiana è stato un attimo, davvero.
Certo, non c’è più il mio vecchio lavoro, il rosario di lamentele quotidiane alla macchinetta del caffè, il pettegolezzo su chi va a letto con chi, chi ci prova con chi. Lavorare oggi in Italia, se lo fai dal palcoscenico global delle multinazionali, non è molto diverso da quando lavoravo in Texas: stessa mentalità pragmatica, stessa attenzione alla performance, stessa pressione travestita da flessibilità. Insomma, posso dire che di strada ne ho fatta, dagli uffici decadenti del palazzo comunale di una periferia sempre più problematica, che Milano ha cacciato via dallo scenario per mostrarsi più bella e cosmopolita, meno decadente e degradata.
Siamo tornati alla politica italiana, anche se devo ammettere che io, in sei anni all’estero, non mi sono mai persa una puntata di Otto e mezzo, così come ho continuato a seguire sui social la propaganda falsa e sovranista degli amministratori locali. Ma osservarla da fuori era da privilegiati: di fatto, nessuna politica mi faceva mai davvero arrabbiare. Né quella americana, perché di fatto non mi apparteneva, né quella italiana, in quanto lontana dal mio radar. Oggi ci sono dentro, e quando vado al mercato il sabato mattina ci trovo il Sindaco con i santini elettorali e la sua cricca di fedelissimi, e l’unica domanda che vorrei fargli è perché non risponde alle mie PEC. Sì, perché in Italia l’email non ha valore legale, per essere ascoltato devi avere una posta elettronica certificata, la PEC appunto, che certifica che tu sei proprio tu. Il mio Sindaco, quindi, ha tempo di gongolare al mercato con i suoi seguaci, ma non di rispondere alle richieste di una cittadina che, per di più, ha lavorato per quindici anni per il suo carrozzone triste. E questa cittadina tra pochi minuti va a votare per le elezioni Regionali, dopo aver istruito chiunque nel suo raggio di influenza a fare lo stesso, e aver fatto uguale anche con le ultime amministrative, alle quali l’uomo-del-mercato ne è uscito vincitore per il rotto della cuffia contro un candidato semi-sconosciuto contro il quale avrei vinto perfino io (con tutto il rispetto, perché è pure bravo).
Siamo tornati alla vita di città, che non ti fa annoiare mai a meno che il vero noioso non sia tu (vero, Robi?) e ti offre ogni giorno un motivo per alzarti da quel divano e spegnere quella TV. Milano è vicina, proprio dietro un paio di isolati, e ogni giorno ti corteggia con proposte allettanti e scorci che, nonostante una vita passata tra le sue vie, per qualche motivo mi ero persa. E a quarantotto anni suonati, io ancora scatto foto a Milano, quando la luce giusta colpisce l’angolo giusto, e faccio video dei cantanti di strada, quando il tramonto è troppo struggente per passare oltre e dimenticare. Cammino, cammino e cammino. Nell’arco della giornata di lavoro, a un certo punto spezzo, mi metto la tuta, le sneakers ed esco a camminare. Non importa dove. Che sia il parco, o le vie laterali, o il vialone che porta al centro commerciale. Cammino con le cuffie nelle orecchie, ascolto musica o parlo al telefono (con le mie amiche di Austin), e mi prendo quell’ora di benessere, anzi, di wellbeing, di cui ho bisogno come dell’ossigeno. Camminare mi aiuta anche a pensare e a mettere in ordine le tante idee, ma soprattutto confuse, che affollano la mia testa. Mi sento fortunata e piena di esperienza, mi sento ricca di informazioni, di dati, di riflessioni, ma tutto è arruffato e caotico come nel mio armadio. E io, che dovrei finalmente separare la stagione fredda da quella calda, mi perdo nel caos, anche con un certo compiacimento, quasi dispiaciuta di dover mettere in ordine per davvero.
Siamo tornati, e di fatto forse non lo siamo ancora, sospesi tra due mondi, tra due stati d’animo, tra due propositi. Ripartire o restare? Chi è partito davvero, e non ha rimpianti, è Leo, che davvero l’America l’ha trovata, ma a Malta, tra il color sabbia delle case, il rosso dei tramonti, il blu del cielo e del mare. Lo sentiamo poco, perché è troppo preso per chiamare tutti giorni e poi, insomma, sono l’unica mamma che chiede la telefonata periodica, dovrei pure stare al posto mio e smetterla di invadere gli spazi vitali di mio figlio. In quell’isola persa nel Mediterraneo, Leo ha trovato la sua indipendenza, nuove responsabilità, tanti amici e, forse, anche l’amore. La sua felicità è talmente piena e solida, da essersi ficcata come un masso nella voragine che ha lasciato in questa casa, e la sua energia riempie la sua stanza, il letto, l’armadio e la scrivania su cui io lavoro. Ogni volta che la nostalgia si fa viva e io cerco quella voragine, ci trovo la sua gioia di vivere, e la nostalgia toglie il disturbo. Io vado va’, non hai bisogno di me, mi dice.
Siamo tornati a vestirci “bene”, ad avere un minimo di stile. Dopo anni di ciaVatte e calzoncini, finalmente vestiti, pantaloni, dolcevita, cappotti. Ho i capelli sempre in ordine, perfetti, e avere una bella pelle qui costa niente rispetto agli USA, quindi dimostro un bel cinque, sei anni di meno. Mai avuto dei pori così (grazie dottor Di Leo) senza aver dovuto vendere organi vitali.
Io oscillo tra mille propositi tra cui: scrivere un libro, entrare in politica, tornare negli USA e trasferirmi in Maremma, anzi no, alle Hawaii. Idee chiare, no? Mi vivo la mia famiglia e il vuoto, quello vero, lasciato dal mio babbo, il papà buono, come lo chiamavamo in casa. Fa male, certo, ma quando uno ha fatto il padre come lo ha fatto lui, come fa a lasciare dolore dietro di sé? Perfino quando vado al cimitero e incrocio la faccia sorridente sulla sua foto, sorrido con lui. E il messaggio dietro quel sorriso mi arriva forte e chiaro al cuore. Non avere fretta. Porta pazienza. E io vado avanti senza fretta, portando pazienza, accogliendo proposte, assecondando il flusso degli eventi, lasciandomi un po’ portare, un po’ ispirare. Medito, come mi hanno insegnato a fare i miei amici più illuminati, e mi ritrovo ogni giorno più vicina a al mio vero sé, quello che con tanti anni di psicoterapia io e la mia dottoressa abbiamo liberato. E quando la confusione prende il sopravvento, faccio tacere i pensieri con un piatto di riso allo zafferano con l’ossobuco. E Milano mia, portami via.
Ti penso spesso e mi fa piacere leggere un aggiornamento. Magari un giorno riusciremo a coincidere da quella parte dell’oceano! Quando sono rimasta bloccata due mesi in Italia, mi sono sorpresa per la facilità con cui ho smesso di fare resistenza e sono scivolata di nuovo nella mia vecchia vita, a casa di mia madre. Il che mi ha portato un buon insegnamento: serve più forza a cambiare, che a continuare con il solito tran-tran. Quest’anno il mio proposito è spingermi fuori dalla zona di comfort e non aspettare di essere “sicura” prima di lanciarmi, o passano le decadi senza che me ne accorga.
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Ciao bella. Mi piace il tuo proposito, e ti dirò, sono sulla stessa linea. E per quanto sia completamente assorbita dal tran-tran, non sono assopita. Al contrario, cerco di stare all’erta e ben sveglia, pronta a cogliere qualsiasi ispirazione. Insomma, sono pronta a qualsiasi cambiamento. Sarebbe bello vedersi, sì 😀 Se capiti da queste parti fai un fischio!
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Erano mesi che non controllavo il blog – e rileggerti è stato un po’ un colpo al cuore perchè, nonostante la differenza di età e di tempistiche, abbiamo vissuto la stessa identica dinamica. Abbiamo preso praticamente le stesse decisioni, e per quello che intuisco anche con motivazioni simili. Anche io sono tornata in Italia, mi sono portata dietro il marito americano; anche noi lottiamo con la mancanza di senso civico e l’Italia un po’ cafona. Anche noi ci godiamo gli aperitivi e in marciapiedi e i vestiti belli, nonostante la politica e nonostante i furbi.
Leggerti è sempre incredibile perchè mi accorgo che, per quanto ogni vita e storia siano uniche, non siamo i soli a vivere questi pensieri!
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