Milano, il marketing, la moda e io

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La mia esperienza professionale negli USA mi ha portato ad essere ormai abbastanza esperta di localizzazione. E non chiamatela “traduzione” per favore, perché la localizzazione è molto di più: noi esperti di localizzazione prendiamo un sito web, un’app, un’email, un messaggio promozionale, una campagna di comunicazione, un messaggio sui social e, dalla sua lingua originale, lo trasformiamo non solo nella lingua locale, ma anche nella cultura locale, nel contesto sociale che ogni messaggio porta con sé, con il suo universo di valori, di percezioni, di modi di leggere e di capire, locali. Il traduttore traduce contenuti. L’esperto di localizzazione, invece, ricrea il giusto contesto intorno a quel contenuto, in modo che non solo venga compreso da chi legge, ma anche apprezzato e, ovviamente, seguito.

Negli USA, la localizzazione è lingua, punto. I miei colleghi ed io eravamo linguisti, topi di biblioteca, gente messa lì a spaccare in quattro la virgola. Creativi, certamente, ma soprattutto intellettuali. Le battute tra gente che fa localizzazione fanno ridere solo la gente che fa localizzazione. Ci mettevano un un “lab”, una cosa fighissima total-white, con i nostri computer, le nostre ricerche e la nostra favella. Un opificio di seghe mentali allucinante, di discussioni interminabili sull’uso di un termine, di acrobazie per rendere gender inclusive professioni come “amministratore di rete”. Insomma, un sogno, per me. Qui a Milano, invece, mi succede di essere catapultata nel mondo del marketing. La localizzazione è anche marketing, in effetti. Devi avere cognizione di cos’è il copywriting, devi saper scrivere un post sui social, devi saper diventare accattivante. Anche negli USA era così, ma i due mondi erano fisicamente, e mentalmente, separati. Qui, invece, per parlare come loro devi vivere accanto a loro. Gli esperti di marketing.

A Milano, chi fa marketing è:
giovane: età media, 30 anni
benestante: laureati IULM (anche io lo sono, ma me la sono pagata da sola mentre lavoravo 8 ore al giorno) o Cattolica o Bocconi
alla moda: scarpe, accessori, giacche, abiti, capelli, profumo. Niente è mai dato al caso. Come posso, io, far passare le mie Adidas e miei jeans per qualcosa di accuratamente studiato? In cinque minuti, il mio stile casual è stato sgamato e archiviato sotto la categoria “trasandato”
milanese: non importa dove sei nato, la cadenza è quella lì. Che, per carità, è anche la mia. Ma quando la sento negli altri mi crea associazioni anni Ottanta/Novanta (il cavalier Zampetti dei Ragazzi della terza C, Massimo Boldi in Yuppies, Pozzetto…), quando la maggioranza dei miei colleghi non erano nemmeno un progetto nelle agende dei loro genitori.

Va detto che io sono un mito dell’adattamento. Mi camuffo come un carabiniere infiltrato nelle Brigate Rosse. Il mio nome di battaglia è Resilienza. Ma qui, giuro, non ce la faccio, anzi, faccio peggio. Pur di sembrare una di loro, sembro la loro zia pirla. C’è un gap generazionale che fa paura. Nessuna fiala di filler può rimpolpare questo solco, quando la verità è che prendere la metropolitana mi stanca e mi fa pensare ai germi, dopo pranzo mi viene l’abbiocco e, a giornata finita, l’idea di uscire in branco a prendere un aperitivo con loro mi fa sentire la loro prof di italiano, più che la loro collega.

Intendiamoci, la gente del marketing a Milano non pensa solo agli aperitivi in centro, ai bei vestiti e alle gite in barca. Si impegnano, lavorano come dei dannati, sono super orientati al successo professionale e, per ottenerlo, si sbattono in un modo che, solo a guardarli, io perdo le mie poche energie. Vogliono crescere, imparare, salire la gerarchia sociale. Sono serissimi, dei veri guerrieri. Le donne, giovani, con bimbi ancora piccoli, portano nello sguardo e sulle spalle quella fatica transgenerazionale che hanno le “mamme in carriera”, quella fiducia inossidabile nel sogno che sì, si può avere successo nel lavoro ed essere anche ottime madri, senza avere sensi di colpa o frustrazioni. Cavolata, ovviamente. Non si può. E a vederle mi verrebbe voglia di dire loro di andare a casa, godersi i figli, andarli a prendere all’asilo con il gelato in mano. Ma, anche qui, parla la zia, quella che ha un figlio di diciannove anni e che ancora non ha processato bene la sua sindrome del nido vuoto.

Anche il mondo del marketing a Milano ha le sue ingiustizie, le sue fratture. Non sempre va avanti chi merita, o quanto meno questo è quello che pensano quelli che non vanno avanti. Dietro i sorrisi e l’atteggiamento cool a volte c’è anche amarezza e disillusione, e sono certa che anche loro, a dispetto del loro approccio rampante, in certi momenti desiderano, come me, un albero sotto cui sdraiarsi ad ascoltare musica, o un podcast, o leggere un libro per tutto il pomeriggio. Ma Milano ti risucchia, il vento del successo soffia come lo scirocco, smuovendo terra e polvere, e in men che non si dica devi volare anche tu, muoverti anche tu. Se no, se non corri, chi sei? Se a 35 anni non sei almeno manager, ‘ndo vai?

Insomma, io osservo tutto con gli occhi ingranditi dalle mie lenti da presbite. Abbandono il mio camuffamento e mi rivelo per quello che sono, la zia fissata con la sintassi e la grammatica. Quella che a volte ha anche belle idee, quella che scrive bene. Quella a cui le cose le devi spiegare due volte, perché insomma, c’ha una certa. Quella che, comunque, da questa generazione che va di corsa sta imparando tantissimo, perché guardare il mondo con i loro occhi è una bella avventura, e perché di cose questi ragazzi ne sanno tantissime, e usano la tecnologia senza averne timore, dominandola, senza avere paura di condividerla. Mi è piaciuto percorrere un tratto del mio cammino con loro, la gente del marketing di Milano. Ma anche il mio mondo corre veloce, anche la mia ruota gira forte. E nel mio futuro c’è una nuova, gigante avventura, di nuovo lontano da Milano e dal mio paese. E, anche grazie a questi ragazzi, potrò affrontarla con nuovi appunti, nuove note, nuove esperienze. Ciao, testine.

8 risposte a "Milano, il marketing, la moda e io"

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  1. Ciao, complimenti per la tua storia e determinazione, mi hanno colpito le tue parole. Ho una figlia che in questo momento è nel settore Marketing, da Roma si è trasferita, anche per amore, a Milano, credo sia la New York italiana, mi piacerebbe scambiare due parole, se puoi questa è la mia email

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  2. Ciao Antonella. Ti seguo molto volentieri quando mi capita di leggere le tue spettacolari capriole fisiche e mentali. Ma ‘ndo vai adesso? Stai a Milano che se passo vorrei salutarti e rivedertiiii!

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  3. Anto mancherai moltissimo a queste teste veloci del marketing di Milano, ma ti seguirò sicuramente nella tua prossima avventura. Mi ha fatto molto riflettere quello che hai scritto perché io sono arrivata esattamente al punto di svolta.. basta carriera e più gelato con la popa. Grazie per aver messo nero su bianco quello che questa folle città e realtà ci fanno vivere. Un abbraccio grandissimo e in groppa al riccio 😘 è stato un piacere condividere un pezzo di questa tua esperienza insieme.

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