A fresh start

Qui mi riconoscono subito, che sono straniera, ma diversa dai soliti. Sarà per come annuso il basilico al supermercato, o per come mi commuovo davanti al banco dei salumi e dei formaggi (per il costo, più che altro), o per come scelgo con cura la passata di pomodoro. Quindi, quando dico che sono Italiana, tutti si sciolgono. E capisco che ci amano, in qualche modo. Noi viviamo l’essere Italiani quasi come una vergogna, a volte, perché pensiamo ai nostri politici che rubano, ai ponti che crollano, ai magistrati che saltano in aria. Ma l’Italia all’estero è soprattutto bellezza, cultura, tradizioni, buon cibo, bella vita, bella gente. E noi siamo ambasciatori di tutto questo. Quindi, quando racconto di come siamo venuti qui in Texas tutti sgranano gli occhi felici e mi dicono “Amazing. A fresh start”. Un nuovo inizio. Questa frase su me e mio marito ha assunto lo stesso potere che avevano le immagine violente su Alex in Arancia Meccanica. Cioè stiamo proprio male. Perché tutto ciò che vuol dire un nuovo inizio sembra davvero energizzante, magico, quasi poetico. Ma la realtà è ben diversa, o almeno lo è stata per noi. Che siamo venuti qui con la voglia di un nuovo inizio, ma con un fardello pesantissimo sulle spalle, un passato pieno di errori, di paure, di incertezze. Volevamo un nuovo inizio, ma non avevamo ancora finito con i vecchi casini, e non puoi ricominciare davvero se prima non finisci quello che hai lasciato incompleto. Che poi, forse, di incompleto ci siamo soprattutto noi…

Certo, devo dire che atterrare qui e trovarsi di botto senza lavoro, senza famiglia, senza amici, senza punti di riferimento, mi ha catapultata nel classico barile di cui ho grattato il fondo fino a far sanguinare le dita. Sì, perché senza distrazioni ci sei solo tu e il tuo maledetto “fresh start” e niente può distoglierti da te stesso. Personalmente, in quel barile, con il mio nuovo inizio, con il mio passato lasciato aperto, non mi sono piaciuta affatto. Ho sentito tutto il peso della mia inadeguatezza, delle paure, delle rigidità che non sapevo di avere. Quando ero ancora a Milano, pensando al nuovo inizio e parlandone praticamente con tutti, vedevo solo il bello di ricominciare tutto in un nuovo mondo. Non avevo pensato che il vecchio mondo mi sarebbe mancato tanto. Che avrei pagato per poter passeggiare in un centro storico, fermarmi in un bar a bere un caffè, entrare in un museo solo perché ci sto passando davanti, sedermi su una panchina a leggere un libro, bere uno Spritz in Brera… Non avevo pensato nemmeno che nel nuovo mondo non ci sarebbero state la Tadi, la Monique, la Giusi e la Rita (a Milano noi mettiamo l’articolo davanti ai nomi, fa un po’ ridere, lo so), che non avrei più ammirato a naso in su il Bosco Verticale insieme al Luca, non avrei più chiacchierato in macchina le ore con l’Ilaria. L’elenco delle cose che non ho trovato qui potrebbe andare avanti per pagine e pagine. Perché sono 44 anni di vita intensa, a volte straziante, ma comunque vita. E dentro quel barile, grattando e grattando, ho scoperto che:
– non sono fatta per i fresh start
– ho criticato il mio passato, ma quel passato mi manca da morire
– ho guardato all’Italia con sufficienza e superiorità, ma ora non c’è posto che mi sembra più armonioso e unico
– ho guardato agli Stati Uniti come un punto di arrivo, ma ora mi sto chiedendo se è davvero qui che voglio che mio figlio cresca, maturi, si diplomi, si innamori.

Insomma, oggi c’è un solo “fresh start” in cui credo, ed è quello dentro di me. Dentro dentro. Da sola. E non c’era proprio bisogno di venire fin qui per realizzarlo.milano3

 

7 risposte a "A fresh start"

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  1. A 40 anni è sicuramente più difficile adattarsi a una cultura basata su concepire relazioni in modo differente. Queste tue considerazioni confermano cio che pensavo degli Stati Uniti e della cultura anglosassone in generale. Una cosa è una toccata e fuga per turismo altro è viverci per costruire un futuro per i propri figli. Ti auguro comunque che insieme al tuo compagno possiate trovare in voi le motivazioni che siano da fondamenta per il vostro futuro e dei vostri figli.

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  2. Ciao anto sono il Paolo.. Come stai tutto bene? Come mai avete preso questa drastica decisione di andare così lontano. Ma soprattutto così sperduto. Perché no NY o LA.. Proprio Austin… Per me Austin era fino a ieri una macchina degli anni 70!

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  3. Noi in America non abbiamo resistito affatto. Io che sono asociale mi ci sarei adattata benissimo, ma la scelta non era solo mia. Abbiamo scelto a pelle (tra altri fattori) e adesso a distanza di anni mi mancano gli USA perché il lavoro è tuttora lì!

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  4. Ciao! Come sento risuonare le tue parole dentro di me. Stesse sensazioni, stesse emozioni. Mi sono trasferita l’anno scorso a Miami con la mia famiglia (marito, bimba di 10 anni e cagnolina) e capisco benissimo ciò che scrivi. Nonostante sia in Florida e non in Texas (io mi immaginavo Miami come una città calda e accogliente), mi trovo in una profonda solitudine. Le persone sono disconnesse, distanti, non c’è la socialità come la intendiamo noi in Italia, l’aiuto reciproco tra mamme, la condivisione.. è davvero triste. Purtroppo abbiamo fatto un salto nel vuoto, non ero mai stata negli Stati Uniti e non sapevo cosa mi stesse aspettando. Non sto male da morire 🙂 ma, come dici tu, non mi ci ritrovo.
    Hai un profilo Facebook? Mi piacerebbe mettermi in contatto con te.
    Buona giornata!
    Serena

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