Quelli che vivono negli USA e se ne lamentano (tipo io)

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Ultimamente, tra le pagine dedicate agli expat che frequento abitualmente, leggo sempre più insofferenza nei confronti di quegli espatriati che, diciamo, sputano nel piatto in cui mangiano. Quella gente, insomma, che ha mollato l’Italia e, ora che si trova negli Stati Uniti, ne ha una per ognuno e per ogni cosa. Spesso senza ragion veduta. Sarà che ho la coda di paglia, ma mi sono sentita tirata in causa.

Lo ammetto, io ho un atteggiamento critico verso gli USA che mi hanno accolta e regalato un nuovo inizio. Ma questo atteggiamento critico lo rivendico, e anche con forza.
Noi expat siamo tutti qui con lo stesso obiettivo, che è trovare la nostra strada, essere sereni, condurre una vita che ci appartenga. Io personalmente lo faccio ben consapevole dei miei limiti e del mio potenziale, e so di avere la massima onestà intellettuale ed emotiva nel raccontare la mia opinione su quello che vivo ogni giorno. Perché sì, io gli Stati Uniti li vivo davvero. Li vivo quando guido e ascolto la radio, li vivo quando vado in ufficio otto, nove ore al giorno e mi confronto con gli altri, li vivo al supermercato quando scelgo cosa mettere in tavola, li vivo nel weekend quando cerco qualcosa di interessante da fare, li vivo nel percorso scolastico di mio figlio, li vivo nelle visite mediche e nelle medicine. Li vivo e li racconto sulla base della mia esperienza e della mia percezione dei fatti, e la mia percezione dei fatti non ha la pretesa di essere quella di ognuno, perché è mia ed è figlia della mia storia, dei miei trascorsi, del mio passato.

Oggi quando leggo in giro che gli Italiani sono tutti lamentosi e comunisti, sorrido. Perché se avere nostalgia della mia terra, degli amici di una vita, di mio fratello, della mia famiglia e della tomba in cui riposa il mio papà, se tutto questo è “un lamento”, va bene, io mi lamento. Se rimpiangere un sistema sanitario universale, ancorché imperfetto e pieno di lacune, è sinonimo di essere comunisti, va bene, mi prendo anche della comunista.

Anche se ho scelto gli USA per migliorare la mia condizione professionale, magari finanziaria, e per vivere un’avventura al di fuori di quello che era già “scritto”, mi sento comunque la libertà di guardarmi intorno e di dire cosa non mi assomiglia, cosa non mi piace. Io sono grata per le opportunità che ho trovato qui e della rivoluzione che mi ha investito e che, quando ho potuto, ho guidato. Sono grata di quanto ho imparato, sono grata delle sconfitte e delle cadute più che dei successi e delle ascese. E se dico che, per la mia esperienza, non tutto qui mi piace, non tutto qui mi corrisponde, lo dico senza giudicare coloro che, invece, qui si trovano alla grande e non tornerebbero mai in Italia.

E quando la gente scrive “Ma se non ti piace qui, tornatene in Italia” (e lo leggo ovunque, scritto verso chiunque osi fare una critica) rispondo che non è mica facile. Perché una volta che hai figli inseriti qui negli USA, hai un lavoro qui, hai degli impegni magari economici, dei progetti già avviati, non puoi mollare tutto da un giorno all’altro e tornare a CASA, perché praticamente una casa non ce l’hai già più, è sparsa tra quei progetti, quegli impegni, quei figli.

Provate a chiedere alle persone che scendono, che so, dalle montagne russe di un luna park, come si sono sentite. Qualcuno vi risponderà che è stato fighissimo, altri magari avranno vomitato sulla testa di quello seduto davanti, altri vi diranno che è stato pericolosissimo, altri che non hanno avvertito la minima scarica di adrenalina, e altri si lamenteranno di quello che gli ha vomitato in testa… Stesse montagne russe, diversi commenti, diversi percezioni. Non possiamo sforzarci di avere più rispetto per noi expat indecisi, confusi, nostalgici? Perché dobbiamo sembrarvi per forza lamentosi, ingrati, intellettualmente disonesti, incorreggibili, comunisti? Perché non possiamo condividere con trasparenza le nostre paure e come le viviamo, senza essere banalizzati o, peggio, bullizzati?

Forse non abbiamo la fortuna di condividere tutte le vostre certezze. Forse non siamo sicuri del nostro futuro come voi, che avete chiuso a doppia mandata la porta dell’Italia e avete messo i vostri sogni al sicuro in un cassetto a stelle e strisce. Forse non abbiamo avuto la vostra stessa fortuna, e ora sappiamo che tornare indietro non è così facile. Ma magari torneremo, un giorno, all’Italia che ancora amiamo e che voi, invece, amate solo per le vacanze e il caffè. Ci torneremo non per il comunismo (e se leggete il giornale lo sapete anche che in Italia i comunisti non ci sono) ma perché è bello vivere quest’avventura, è bello viverla in un grande paese come questo, in cui tutto sembra possibile, ma è bello anche potersi ricredere, poter vivere quei pezzi di Italia che non abbiamo mai smesso di amare. Quindi lasciateci lamentare, perché non è tutto bianco o nero.
Nemmeno qui negli Stati Uniti.


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